situazione IX
“Cioni ha un set che usa per la televendita, lo porta a casa e se lo riporta indietro ogni settimana, è una specie di maniaco, vuole lavorare sempre con lo stesso set di coltelli: è preciso, ma un giorno ne perde uno, vuoi vedere che quel coltello ce lo abbiamo noi in centrale ?”.
Il commissario stava guardando per la seconda volta le registrazioni di una televendita di coltelli akira, di tipo giapponese, ma prodotti da una filiale italiana. Vicino a lui sedeva il fedele appuntato Filini, quel giorno, bisogna dire, piuttosto controvoglia, sia per l’estenuante uso del fermo-immagine e del procedere fotogramma per fotogramma ( ciò gli faceva prevedere una probabile quanto non desiderata estensione dell’orario lavorativo, perché, al contrario del commissario, che viveva solo, lui aveva una famiglia che l’aspettava), sia perché non credeva nella possibilità di approdare a qualsivoglia risultato. Non era la prima volta che il suo capo lo sottoponeva a simili torture, e lui , su questo punto, era giunto ad una conclusione, che si sarebbe ben guardato dall’esternare in sua presenza: in realtà pretendeva che lui non si allontanasse di un solo passo non perché credesse nella possibilità di un suo contributo alle indagini, ma aveva bisogno di un testimone delle sue “geniali” intuizioni. Perdipiù lui era un testimone discreto, che non contestava mai soprattutto perché amava il “quieto vivere”, ma anche perché, dopo tutti quegli anni di lavoro insieme, si erano abituati uno all’altro. Lui, Filini, con il suo senso pratico, era in grado di raccogliere molto rapidamente tutte le informazioni sul campo prima che altri arrivassero a “mettere il naso” , ad inquinare le prove o a confondere i testimoni. Qualche volta, quando il capo “partiva per la tangente” con una delle sue teorie sulla dinamica di un delitto, malgrado i suoi timori di contrariarlo, gli toccava riportarlo con i piedi per terra. Lo faceva un po’ timidamente, come un allievo di fronte ad un professore molto stimato che abbia sbagliato clamorosamente una correzione.
Quel pomeriggio tedioso( era passato quasi un mese dal malaugurato ritrovamento del coltello), Filini, con la mente che vagava in questi e altri confusi pensieri, chiaramente poco interessato al caso, aveva finito con l’assopirsi, il mento poco dignitosamente abbassato e dolorosamente premuto contro il colletto duro della giacca d’ordinanza. L’improvviso sbottare del capo in quella frase lanciata per aria ad un supposto interlocutore, lo fece sobbalzare riportandolo immediatamente dentro la situazione, come il Mister Bristow dei fumetti, per la grande pratica , nel suo caso non virtuale, di simili frangenti.Cristando dentro di sé, riprese rapidamente il controllo e azzardò:
Vuol dire, capo, che il tipo ci ha nascosto la scomparsa del coltello o che è stato proprio lui ad usarlo?-
Questo è tutto da verificare. Per prima cosa occorre accertare se il numero di lotto corrisponde a quello del set usato dal Cioni nella sua trasmissione, poi…
Ciò significa –ribattè Filini impedendogli di concludere la frase- che sarò io a dovermi recare sul posto, cioè dove si trova questa cavolo di fabbrica (l’agitazione lo stava facendo uscire dai canoni usuali di rispetto per il superiore) di coltelli per verificare di persona.-
Come hai fatto a capirlo?- Rispose il commissario con una smorfia ironica fingendo di sottovalutarlo.
Dal suo punto di vista di persona intelligente e preparata, con una naturale propensione all’astrazione più che alla pratica, egli tende inevitabilmente a trattare con un certo distacco le banali questioni di routine.E’ ovviamente più interessato a giocare con le complicate geometrìe che sottendono al comportamento umano, nel bene e nel male.Tuttavia è ben consapevole che, senza Filini, si sentirebbe perso. Sono diventati un po’ come il braccio e la mente, immagine scontatissima, ma non per questo meno efficace. Si può dire che il suo sottoposto ha proprio quello che a lui manca: quel genere di capacità che consente alla gente di arrangiarsi nelle situazioni più disparate, spesso procedendo per tentativi , seguendo più l’istinto che la ragione e non di rado venendone a capo con profitto.Ora, tornando al caso in questione, allo stato attuale delle cose- si chiese il commissario- quali erano gli elementi a loro disposizione?
1) Un coltello akira, di tipo giapponese ma fabbricato in Italia, con la lama imbrattata di sangue umano.
2) Le analisi del suddetto sangue, eseguite colorando il cromosoma Y con cloridrato di chinacrina( era l’unico tipo di analisi che permetteva una diagnosi di sesso anche dopo 4-6 settimane).
3) I risultati di queste analisi rivelavano con certezza l’appartenenza al sesso femminile della vittima.
4) Le informazioni raccolte sul titolare della Affilati , la fabbrica di coltelli. Si trattava di un giovane imprenditore dalle tendenze artistoidi, che si era ritrovato controvoglia a dover dirigere la ditta paterna e lo faceva preoccupandosi principalmente dell’immagine, l’unica cosa che gli dava la possibilità di aver a che fare col mondo televisivo delle televendite sperando in qualche aggancio con l’ambiente dello spettacolo. Il padre, morto prima di riuscire a diseredarlo, sospettava che fosse omosessuale. In effetti il suo abbigliamento era piuttosto stravagante benché non venissero segnalati atteggiamenti equivoci.
5) Romano Cioni, il televenditore dall’aspetto giovanile e dal fare suadente, che è stato scelto dall’Affilati per la sua pluriennale pratica di venditore. Costui, interrogato da Filini, aveva fornito informazioni dettagliate sulla propria attività e sui rapporti con la clientela e con i colleghi di lavoro della televisione locale, sempre con un sorriso di sufficienza stampato sulla faccia ( Filini ogni tanto lo sorprendeva con delle osservazioni psicologiche che smentivano la sua fama di sempliciotto).Più si riguardava le registrazioni, meno quel tipo lo convinceva. C’era qualcosa di ambiguo nel suo modo di fare. Ed ora, grazie alla frequentazione notturna di televendite causata dalla sua insopprimibile insonnia che lo costringeva a lunghe “tirate” davanti alla TV, era riuscito a “catturare” quel particolare: la mancanza del 17° coltello della serie.Perchè Cioni non aveva mai denunciato quella mancanza?
Il commissario stava guardando per la seconda volta le registrazioni di una televendita di coltelli akira, di tipo giapponese, ma prodotti da una filiale italiana. Vicino a lui sedeva il fedele appuntato Filini, quel giorno, bisogna dire, piuttosto controvoglia, sia per l’estenuante uso del fermo-immagine e del procedere fotogramma per fotogramma ( ciò gli faceva prevedere una probabile quanto non desiderata estensione dell’orario lavorativo, perché, al contrario del commissario, che viveva solo, lui aveva una famiglia che l’aspettava), sia perché non credeva nella possibilità di approdare a qualsivoglia risultato. Non era la prima volta che il suo capo lo sottoponeva a simili torture, e lui , su questo punto, era giunto ad una conclusione, che si sarebbe ben guardato dall’esternare in sua presenza: in realtà pretendeva che lui non si allontanasse di un solo passo non perché credesse nella possibilità di un suo contributo alle indagini, ma aveva bisogno di un testimone delle sue “geniali” intuizioni. Perdipiù lui era un testimone discreto, che non contestava mai soprattutto perché amava il “quieto vivere”, ma anche perché, dopo tutti quegli anni di lavoro insieme, si erano abituati uno all’altro. Lui, Filini, con il suo senso pratico, era in grado di raccogliere molto rapidamente tutte le informazioni sul campo prima che altri arrivassero a “mettere il naso” , ad inquinare le prove o a confondere i testimoni. Qualche volta, quando il capo “partiva per la tangente” con una delle sue teorie sulla dinamica di un delitto, malgrado i suoi timori di contrariarlo, gli toccava riportarlo con i piedi per terra. Lo faceva un po’ timidamente, come un allievo di fronte ad un professore molto stimato che abbia sbagliato clamorosamente una correzione.
Quel pomeriggio tedioso( era passato quasi un mese dal malaugurato ritrovamento del coltello), Filini, con la mente che vagava in questi e altri confusi pensieri, chiaramente poco interessato al caso, aveva finito con l’assopirsi, il mento poco dignitosamente abbassato e dolorosamente premuto contro il colletto duro della giacca d’ordinanza. L’improvviso sbottare del capo in quella frase lanciata per aria ad un supposto interlocutore, lo fece sobbalzare riportandolo immediatamente dentro la situazione, come il Mister Bristow dei fumetti, per la grande pratica , nel suo caso non virtuale, di simili frangenti.Cristando dentro di sé, riprese rapidamente il controllo e azzardò:
Vuol dire, capo, che il tipo ci ha nascosto la scomparsa del coltello o che è stato proprio lui ad usarlo?-
Questo è tutto da verificare. Per prima cosa occorre accertare se il numero di lotto corrisponde a quello del set usato dal Cioni nella sua trasmissione, poi…
Ciò significa –ribattè Filini impedendogli di concludere la frase- che sarò io a dovermi recare sul posto, cioè dove si trova questa cavolo di fabbrica (l’agitazione lo stava facendo uscire dai canoni usuali di rispetto per il superiore) di coltelli per verificare di persona.-
Come hai fatto a capirlo?- Rispose il commissario con una smorfia ironica fingendo di sottovalutarlo.
Dal suo punto di vista di persona intelligente e preparata, con una naturale propensione all’astrazione più che alla pratica, egli tende inevitabilmente a trattare con un certo distacco le banali questioni di routine.E’ ovviamente più interessato a giocare con le complicate geometrìe che sottendono al comportamento umano, nel bene e nel male.Tuttavia è ben consapevole che, senza Filini, si sentirebbe perso. Sono diventati un po’ come il braccio e la mente, immagine scontatissima, ma non per questo meno efficace. Si può dire che il suo sottoposto ha proprio quello che a lui manca: quel genere di capacità che consente alla gente di arrangiarsi nelle situazioni più disparate, spesso procedendo per tentativi , seguendo più l’istinto che la ragione e non di rado venendone a capo con profitto.Ora, tornando al caso in questione, allo stato attuale delle cose- si chiese il commissario- quali erano gli elementi a loro disposizione?
1) Un coltello akira, di tipo giapponese ma fabbricato in Italia, con la lama imbrattata di sangue umano.
2) Le analisi del suddetto sangue, eseguite colorando il cromosoma Y con cloridrato di chinacrina( era l’unico tipo di analisi che permetteva una diagnosi di sesso anche dopo 4-6 settimane).
3) I risultati di queste analisi rivelavano con certezza l’appartenenza al sesso femminile della vittima.
4) Le informazioni raccolte sul titolare della Affilati , la fabbrica di coltelli. Si trattava di un giovane imprenditore dalle tendenze artistoidi, che si era ritrovato controvoglia a dover dirigere la ditta paterna e lo faceva preoccupandosi principalmente dell’immagine, l’unica cosa che gli dava la possibilità di aver a che fare col mondo televisivo delle televendite sperando in qualche aggancio con l’ambiente dello spettacolo. Il padre, morto prima di riuscire a diseredarlo, sospettava che fosse omosessuale. In effetti il suo abbigliamento era piuttosto stravagante benché non venissero segnalati atteggiamenti equivoci.
5) Romano Cioni, il televenditore dall’aspetto giovanile e dal fare suadente, che è stato scelto dall’Affilati per la sua pluriennale pratica di venditore. Costui, interrogato da Filini, aveva fornito informazioni dettagliate sulla propria attività e sui rapporti con la clientela e con i colleghi di lavoro della televisione locale, sempre con un sorriso di sufficienza stampato sulla faccia ( Filini ogni tanto lo sorprendeva con delle osservazioni psicologiche che smentivano la sua fama di sempliciotto).Più si riguardava le registrazioni, meno quel tipo lo convinceva. C’era qualcosa di ambiguo nel suo modo di fare. Ed ora, grazie alla frequentazione notturna di televendite causata dalla sua insopprimibile insonnia che lo costringeva a lunghe “tirate” davanti alla TV, era riuscito a “catturare” quel particolare: la mancanza del 17° coltello della serie.Perchè Cioni non aveva mai denunciato quella mancanza?
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