riscrittura della riscrittura di simone (berto e moglie in auto)
(riscrittura di Giammauro G.)
Ero in macchina, ricordo, pensavo, e l’odore del gas e la presenza di quel corpo mi davano la nausea. Fortuna che non avevo dovuto fare niente. Io. No, solo trascinarlo x le gambe, aprire il portabagagli e controllare che non ci vedesse nessuno. Va beh.
In macchina però la nausea non mi passava, e lui guidava a scatti. Destra, sinistra, frenata. Sinistra, destra e questo non mi aiutava certo. Poi di colpo, perché di colpo si è trattato, mi sono ricordata che ero pure incinta. Sì, sì proprio incinta vero. Di un figlio di quest’uomo che viaggia in macchina con un cadavere. E mi è venuta voglia di biscotti. Non ci avevo mai creduto a sta storia che le donne incinta hanno sempre voglie strane. Però. I biscotti erano l’unico pensiero che mi faceva passare la nausea, persino l’odore del gas mi sembrava quello del bar al mattino. Quello delle brioches calde.
E così, ricordo, insistevo, fermiamoci, che ne sai tu di cosa ho voglia io. Tutto così. Comunque, ci siamo fermati. E meno male anche, perché il gas è quasi finito ci aveva detto il ragazzo dalla tuta sporca e l’odore di benzina sulle mani. E mio marito allora rideva, e raccontava che era anche arrivato tardi al lavoro una sera perché era rimasto senza gas. Il ragazzo faceva finta di ascoltare. C’era una ragazza su una cabrio di fianco. Pensava, credo, perché non mi è capitata quella invece di questo logorroico. Era stupido. Pochi centimetri sotto la bombola c’era un cadavere. Morto. Con qualche borsa sopra, ok, ma pur sempre lì stava. I biscotti li ho buttati via subito. Una sigaretta, mi sembra, forse un caffè, non ricordo. Un po’ di confusione, forse di sonno. In macchina ho anche dormito, sicuro. Modena, pensavo, mi sembra un bel posto. E poi, guardavo mio marito. Quaderno in mano, segnava i numeri del cruscotto. Sai, mi diceva, almeno non rischiamo più, mi diceva. Ed ancora gli tremava la voce, ricordo. Certo. Aprire il bagagliaio per fare gas e non ricordare di avere un morto. Solo perché l’avevo lasciato solo 5 minuti. Non di più. Gli ho preso la mano, gli ho sorriso, ricordo che ho pensato che mi ha sempre fatto tenerezza in quei suoi modi goffi. Imbranato. Poi siamo ripartiti, la vecchia Y10 si è messa a saltellare un po’, freccia a sinistra, un grosso camion ci ha suonato. Arrivava forte. Anche troppo, secondo me. E così, ci siamo ritrovati di nuovo su quella corsia, tutti e quattro, io, mio marito, il nostro bimbo nella pancia. E quel corpo nel bagagliaio. Morto. O almeno, così credevamo.
Ero in macchina, ricordo, pensavo, e l’odore del gas e la presenza di quel corpo mi davano la nausea. Fortuna che non avevo dovuto fare niente. Io. No, solo trascinarlo x le gambe, aprire il portabagagli e controllare che non ci vedesse nessuno. Va beh.
In macchina però la nausea non mi passava, e lui guidava a scatti. Destra, sinistra, frenata. Sinistra, destra e questo non mi aiutava certo. Poi di colpo, perché di colpo si è trattato, mi sono ricordata che ero pure incinta. Sì, sì proprio incinta vero. Di un figlio di quest’uomo che viaggia in macchina con un cadavere. E mi è venuta voglia di biscotti. Non ci avevo mai creduto a sta storia che le donne incinta hanno sempre voglie strane. Però. I biscotti erano l’unico pensiero che mi faceva passare la nausea, persino l’odore del gas mi sembrava quello del bar al mattino. Quello delle brioches calde.
E così, ricordo, insistevo, fermiamoci, che ne sai tu di cosa ho voglia io. Tutto così. Comunque, ci siamo fermati. E meno male anche, perché il gas è quasi finito ci aveva detto il ragazzo dalla tuta sporca e l’odore di benzina sulle mani. E mio marito allora rideva, e raccontava che era anche arrivato tardi al lavoro una sera perché era rimasto senza gas. Il ragazzo faceva finta di ascoltare. C’era una ragazza su una cabrio di fianco. Pensava, credo, perché non mi è capitata quella invece di questo logorroico. Era stupido. Pochi centimetri sotto la bombola c’era un cadavere. Morto. Con qualche borsa sopra, ok, ma pur sempre lì stava. I biscotti li ho buttati via subito. Una sigaretta, mi sembra, forse un caffè, non ricordo. Un po’ di confusione, forse di sonno. In macchina ho anche dormito, sicuro. Modena, pensavo, mi sembra un bel posto. E poi, guardavo mio marito. Quaderno in mano, segnava i numeri del cruscotto. Sai, mi diceva, almeno non rischiamo più, mi diceva. Ed ancora gli tremava la voce, ricordo. Certo. Aprire il bagagliaio per fare gas e non ricordare di avere un morto. Solo perché l’avevo lasciato solo 5 minuti. Non di più. Gli ho preso la mano, gli ho sorriso, ricordo che ho pensato che mi ha sempre fatto tenerezza in quei suoi modi goffi. Imbranato. Poi siamo ripartiti, la vecchia Y10 si è messa a saltellare un po’, freccia a sinistra, un grosso camion ci ha suonato. Arrivava forte. Anche troppo, secondo me. E così, ci siamo ritrovati di nuovo su quella corsia, tutti e quattro, io, mio marito, il nostro bimbo nella pancia. E quel corpo nel bagagliaio. Morto. O almeno, così credevamo.
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