sabato, febbraio 17, 2007

mozzi scritto con lo stile di caron

(compito del primo incontro. riscrittura di Stefania G.)

Andò come tutte le mattine alla messa delle sette e mezza. Attraversò la piazza della chiesa illuminata dai primi raggi del sole che si facevano largo tra le case basse. Il cielo era terso,preludio di una bella giornata di inizio estate. La brezza che spirava dal golfo portava odore di salmastro e di limoni, il silenzio era interrotto dal canto dei galli del pollaio del prete, dietro la canonica. Gabbiani stavano tutti in fila sul bordo del molo, sembravano attendere l’arrivo delle barche dei pescatori. Ogni tanto uno spiccava il volo, e pigro e lento volteggiava lanciando stridi acuti. Lontano, il rumore metallico della serranda del fornaio. I suoi passi solitari calpestarono il selciato a semicerchio davanti agli scalini della chiesa, il “risseu” ligure fatto di piccole pietre di mare nere con quelle bianche a formare disegni di festoni, ancora lucide e umide della rugiada della notte. Prese posto in una delle ultime panche in fondo a destra vicino al confessionale,sempre quello della sua infanzia, con le tendine viola bordate d’oro. La chiesa era in penombra, solo l’altar maggiore era illuminato dalle candele elettriche. Vasi di margherite ornavano l’altare e le balaustre di marmo ricoperte con stoffe bianche bordate di pizzi,memoria queste di un tempo in cui le donne del paese traevano prestigio sociale nella piccola comunità confezionando e ricamando con le proprie mani i paramenti sacri.La celebrazione era da poco iniziata. Le solite poche anziane erano tutte raggruppate nelle due panche davanti, nere come cormorani. Finita la messa aspettò che sciamassero fuori riponendo le corone del rosario bisbigliando tra di loro,quindi entrò in sacrestia e aiutò don Mario a spogliarsi dei paramenti. Lo sorprese alle spalle, lo afferrò e con un braccio gli cinse il collo tenendolo fermo, con la mano libera gli infilò inbocca la cotta. L’anziano prete si dibatteva tentando di gridare, strabuzzava gli occhi, gli gonfiavano le vene del collo, era sempre più rosso. Lui era naturalmente molto più forte, allentò la presa sul collo e con la mano destra gli teneva sempre la cotta ben affondata nella bocca, con la sinistra gli strinse forte le narici finchè i sussulti divennero sempre più deboli, gli occhi sbarrati in un’espressione di stupore estremo, smise di opporre resistenza e si accasciò sul pavimento. Rimase così alcuni minuti, per essere certo che l’opera fosse compiuta. Dio non volesse che fosse soltanto svenuto e fosse andato poi a raccontare in giro..Teneva le orecchie tese, se fosse arrivato qualcuno avrebbe detto che don Mario, poveretto, aveva avuto un attacco di cuore e lui lo aveva steso a terra e usato la cotta per fargli aria. Doveva solo toglierla dalla bocca e sventolargliela davanti al viso e fare un po’ di scena, oddio un dottore,presto un dottore. Se poi il vecchio prete lo avesse accusato, beh si sa che l’età avanzata e lo scarso apporto di ossigeno al cervello possono dar luogo a stati confusionali e allucinazioni. Nessuno venne a interrompere il suo lavoro,per fortuna.Avrebbe ritenuto cosa assai didsdicevole diventare l’oggetto della curiosità e dei pettegolezzi della polizia e dei vicini,lui che detestava i capannelli di curiosi che si formano sul luogo di una disgrazia per il piacere morboso di assistere da spettatori ai guai altrui. Lui che, figurarsi, da quando viveva solo non aveva neanche più la televisione.Per non essere costretto a subire ,comodamente seduto in poltrona e quindi con un ruolo assolutamente passivo , distaccato, che ci solleva da ogni responsabilità ,la quotidiana sequela di guerre,tragedie, omicidi, treni deragliati, fiumi straripati, terremoti e maremoti e chi più ne ha più ne metta. Lui, che era ormai disabituato a considerare la realtà che ci presentano i mezzi di informazione come puro spettacolo. O , come si dice oggi, fiction.